LA SPADA DI S. MICHELE -IL BENE E IL MALE

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LA SPADA DI S. MICHELE –IL BENE E IL MALE

           di Orlando Giuffreda

Dio creò gli Angeli, puri spiriti intelligenti e dotati di libero arbitrio per essere da essi servito e onorato. La Divina Sapienza, tuttavia, aveva decretato che, prima di essere confermati nella grazia essi dovevano sottostare a una prova. Secondo San Tommaso D’Aquino e secondo i più celebri Padri della Chiesa, la prova degli Angeli non avrebbe potuto essere altra che questa: la seconda persona della Santissima Trinità, il Figlio Eterno, nella pienezza dei tempi si sarebbe fatto uomo, pur restando vero Dio, e gli Angeli avrebbero dovuto adorarlo anche nella sua natura umana.Paolo, infatti, dice: “…quando (Dio) introdurrà di nuovo il suo Primogenito nel mondo, dirà: <Lo adorino tutti gli Angeli di Dio!> (Ebr. 1, 5). Tra gli esseri celesti, uno dei più elevati della creazione e che rifletteva in modo perfetto lo splendore del Sommo Fattore, Lucifero, che significa, appunto, “portatore di luce”, fu preso da orgoglio, non volle accettare il disegno di Dio e decise di ribellarsi e di non servirlo più.Ebbe così luogo alla presenza di Dio quella cosmica battaglia che ha visto il sedizioso “figlio dell’aurora” sconfitto dall’Arcangelo Michele e, nello stesso tempo, privato dal Creatore della grazia e del suo splendore, assumere l’aspetto deformato di dragone quale conseguenza del peccato e scaraventato con i suoi malvagi seguaci sulla terra.Con l’espressione “ e non ci fu più posto per essi in cielo”, l’evangelista S. Gio­vanni (Ap. 12, 8), vuol far rilevare l’inconciliabilità assoluta del Male dal Bene e, il fatto che il dragone e i suoi angeli siano stati precipitati sulla terra, in­dica che noi siamo co­stantemente e diretta­mente partecipi della battaglia e alle prese con il problema di scegliere da che parte stare, con Dio o col diavolo, rifiuto del male o corresponsa­bilità con esso.

Satana, dunque, principe del Male, è nel mondo ed è contro l’uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza, che si avventa per sedurlo ancora una volta e accrescere le sue per­verse schiere di perduti per sempre alla grazia, consumando così la sua vendetta contro Dio.

Ma il Creatore ama le sue creature. Egli ci ama fin dal principio e per amore ci ha do­nato e posto a sacrificio volon­tario suo Figlio Gesù, perché in Lui e per Lui avessimo la possi­bilità della vita eterna. Il Ten­tatore antico, il diavolo, è stato vinto per sempre e umiliato dal paradossale sacrificio della Croce, “scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani” (Corinzi 1, 23), e dalla potenza del Cristo risorto.

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Agnone, chiesa di S. Francesco. Paolo Gamba, Caduta degli angeli ribelli (sec. XVIII).

Il Padre Celeste ha così limitato la potenza di Satana ed ha incaricato l’Arcangelo Mi­chele di vigilare sul suo popolo e di proteggere la sua Chiesa. La scelta non è casuale. Michele è l’Angelo fedele, colui che combatte per la giustizia divina e per la gloria di Dio. E’ l’Araldo del Signore, l’annunciatore ultimo della Sua vittoria (Ap. 12,10). Egli fa tri­onfare il Cielo sull’inferno, è l’icona angelica, il simbolo della vittoria del Bene sul Male.

Per questo suo peculiare ruolo, l’iconografia raffigura l’Arcangelo Michele come un guerriero nell’atto di sconfig­gere Satana, rappresentato sotto forma di serpente o drago o, spesso, con corrotti lineamenti antropomorfi.

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Cappella Sistina, La contesa per il corpo di Mosé (Luca Signorelli, ridipinto da Matteo da Lecce).

L’arma che egli im­pugna è di solito la spada, presente sia nella tradizione icono­grafica orientale sia in quella occidentale quale elemento di forza, ma anche simbolo di guarigione e di giusti­zia. Questa è forse l’icona più largamente utilizzata dagli artisti.

Le molteplici posizioni della spada sono mo­tivo di varie interpretazioni da parte di alcuni esegeti. Nell’economia di questa piccola nota, comunque, è sufficiente osservare che essa ap­pare tale da far pensare sempre a un controllo, a un’a­zione limitante sul ma­ligno, ma mai a un’azione cruenta e definitiva. Michele si limita a frenare i bollenti spiriti del Maligno, a impedirne la diffusione e la corruzione sull’essere umano.

Il combattimento che si consuma nel cielo tra il fedele Michele e i suoi angeli e Lucifero e le sue losche schiere mira, si limita e ottiene come risultato quello di scacciarli dal cielo, dove, perduta la grazia, non ci può essere più posto per loro. Satana è stato separato dal regno dei cieli, per cui nelle relative rappresentazioni il celeste Condottiero, già vittorioso, lo tiene a bada sotto i suoi piedi, minacciandolo con la spada. Il suo quindi non è un combattimento volto alla distruzione, non vi sono visi tesi e movimenti cruenti, Michele non distrugge e non giudica, si erge con il suo “Chi come dio?” a difensore estremo della reggenza divina sul cosmo e pone il potere di giudizio solo nelle mani del Sommo Creatore.

L’Arcangelo, infatti, anche “quando in contesa con il diavolo, disputava per il corpo di Mosè, non osò accusarlo con parole offensive, ma disse: Ti punisca il Signore” (Lettera di Giuda, 9). E’, in definitiva, il medesimo atteggiamento del Cristo sulla croce che dice “Padre perdona loro” e non IO vi perdono!

In realtà la spada di Michele rappresenta quell’essenza affilatissima e peculiare in grado di separare e far trionfare il BENE sul MALE e, con il suo esempio di fedele servitore di Dio, indica all’uomo, creato libero, la giusta strada della salvezza. Il tema del libero arbitrio, della dialettica tra il Bene e il Male è ben rappresentato in una tela del noto artista veneto Lorenzo Lotto (1480 – 1556/7). Raro esempio in cui s’incontra questo particolare tema iconografico di Lucifero non ancora mutato in demone, ma colto nel momento limitale in cui la “caduta” dal cielo inizia a corrompere l’essenza dell’angelo sovvertitore (la coda), il breve passo che può portare alla dannazione. L’autore ritrae Lucifero intenzionalmente simile nella sua forma angelica a quella dell’arcangelo Michele.

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Lorenzo Lotto, San Michele arcangelo caccia Lucifero, 1545 ca. – Museo – Antico Tesoro della Santa Casa di Loreto.

I due protagonisti sono contrapposti anche nella posizione e nel movimento, accentuando notevolmente la separazione tra i due: l’empio che per la sua scelta cade sempre più giù mentre il giusto si eleva. La mano sinistra di entrambi è tesa l’una verso l’altra, ma Lucifero, in un  ultimo sprezzante gesto d’orgoglio (marcato dalla fiaccola spezzata della conoscenza che separa i due), conferma la sua ribellione, convalidando, mi pare, la tesi che non c’è predestinazione, ma tutto dipende dalle scelte personali che facciamo.

Altra rara e forse unica rappresentazione è possibile ammirarla a Mount St. Michael in Inghilterra. Si potrebbe chiamare “Arcangelo del soccorso”. Egli non impugna la spada, ma la tiene alzata per la lama a indicare la sua intenzione non guerriera; la presenta come una croce a simboleggiare la via del Cristo come scelta, scelta che una volta effettuata permette di afferrare la mano offerta dall’Arcangelo con il palmo in alto in segno di aiuto.

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Saint Michael Mount (Cornovaglia in Inghilterra), Statua di San Michele e il diavolo.

Tale immagine appare, pertanto, più come un segno di speranza per l’uomo che di dannazione eterna, esprime l’infinito amore di Dio per tutto ciò che è sua creatura, basta volerlo e corrispondere al suo amore.

Sappiamo che, prima delle origini della storia umana, Satana fece una scelta negativa, volle contendere il primato a Dio e, da creatura, auto deificarsi. La sua essenza di spirito perfetto non ammette il pentimento e il conseguente perdono ed è appunto la radicalità della sua opzione a condannarlo eternamente.

Dopo la caduta di Satana, gli Angeli cantarono lodi a Dio e una voce diceva: ” Ora è venuta la salvezza e la potenza, il regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo” (Ap. 12, 10). La vittoria di Michele dunque, è strettamente correlata all’’intronizzazione dell’Agnel-lo e all’avvento della Gerusalemme Celeste.

D’altra parte, il santo Condottiero è dello stesso rango del suo superbo avversario, pertanto le forze in campo sono alla pari e le possibilità di vittoria sono uguali. L’esito della battaglia dipende dalla diversa e libera scelta dei due: l’abbandono fiducioso di Michele al disegno salvifico del Creatore, Lucifero, invece, non accetta il progetto di Dio per la salvezza degli uomini e, invidioso (del Figlio) e arrogante, decide di non servire, risoluzione che lo allontana dallo stato di grazia. Ed è proprio ciò che viene a costituire la differenza tra i due e per la quale Michele vince.

La lotta tra il Bene e il Male sulla terra è la logica conseguenza della guerra avvenuta in cielo. L’azione del demonio si fa sentire in tutti i tempi: “e gli fu dato ogni potere sulla terra”. Ma se il potere del ”serpente antico” è grande, il potere della Grazia lo è di più: ”Chi avrà perseverato sino alla fine, dice Gesù, sarà salvo”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SOS per la necropoli paleocristiana della “Tufara Rossa”

SOS per un bene che appartiene alla memoria storica di tutti i Montanari.

Qualcuno, non so se legittimamente o abusivamente, si è insediato nella cripta, forse una volta cappella dell’intero complesso paleocristiano,   e sta demolendo arcosoli e tombe, probabilmente per adattare il tutto a residenza di campagna. Questo complesso è stato oggetto di una mia comunicazione, pubblicata negli Atti, al Convegno “Culto e insediamenti micaelici nell’Italia meridionale fra tarda antichità e Medioevo” tenutosi a Monte Sant’Angelo nel 1990, curato dell’Istituto di Studi classici e cristiani dell’Università di Bari. Nel territorio di Monte è (o era?) una delle necropoli ancora ben conservata, con stupendi arcosoli mono e biloculari che occupavano tutto il costone roccioso. L’antistante spiazzo appare la parte  maggiormente compromessa ed è quella che andava ancora indagata.

Necropoli paleocristiana della “Tufara Rossa” com’era nel 2010.

Necropoli paleocristiana “Tufara Rossa” cosi come la stanno stravolgendo oggi 27 aprile 2012.

S. MICHELE NELLA MEDAGLISTICA

S. MICHELE NELLA MEDAGLISTICA

Accanto alla numismatica vera e propria, si considera in genere come sua appendice anche la medaglistica. La medaglia è un “pezzo” di metallo più o meno prezioso, o anche in bronzo e in ottone, che, pur conservando alcune caratteristiche della moneta se ne differenzia in quanto non reca alcuna indicazione di valore ed è, quindi, priva di potere d’acquisto e non svolge alcuna funzione di scambio. Altra sua peculiarità rispetto alla moneta, è quella di recare la firma dell’autore, o solo le sue iniziali o il suo monogramma.

Alla base della medaglia vi sono semplici scopi commemorativi, celebrativi di un avvenimento o solamente di fastigio. Tale concetto ispiratore, in verità, lo si potrebbe trovare in soggetti di monete romane, come i contorniati ed i medaglioni. Ma le prime vere medaglie secondo l’odierna accezione della parola iniziano durante il rinascimento italiano. Anzi, si può affermare che proprio dall’Italia rinascimentale, dalle fastose corti principesche la moda e l’arte della medaglia si diffusero e si affermarono in tutta l’Europa.

La paternità viene in genere attribuita ad Antonio di Puccio Pisano (1380? – 1450?) detto il Pisanello, che nel 1438, durante il concilio di Ferrara ritrasse dal vero l’imperatore Giovanni VIII Paleologo, realizzando una medaglia che fu per lui la prima e che fece da prototipo per l’intera medaglistica rinascimentale. In seguito furono impegnati, infatti, artisti famosi come il Pollaiolo (1431 – 1498), il veronese Matteo de’Pasti (1420 -1467/1468), lo scultore ed architetto Francesco Laurana (1430 – 1502), il grande medaglista mantovano Sperandio (1425 – 1504) e, nel XVI secolo, astri dell’arte dell’incisione come Benvenuto Cellini (1500 – 1571), Leone Leoni (1509 – 1590), Valerio Belli (1468 – 1546), Pastorino da Pisa e via via molti altri fino al contemporaneo Cesare Cantù.

Un’infinità di medaglie sono state emesse su una molteplicità di temi, in tutti i metalli, di varie dimensioni, dalle splendide e preziose medaglie del Rinascimento a quelle piccole portative o di devozione.

Questo entusiastico interesse, però, durò fino ai tempi di Napoleone Bonaparte, dopo del quale conobbe un certo periodo di stanca. Riprese, poi, nel primo Novecento, basta pensare alla sequenza sabauda e a quella papale, quest’ultima ricercata anche per la notevole serie di ritratti riprodotti.

Interi periodi storici possono essere raccontati ed illustrati dalle medaglie meglio di qualsiasi libro. Esse, perciò, sono importanti non solo in quanto di frequente splendono quali vere opere d’arte per la bellezza, la cura, la perfezione e l’armonia dell’incisione, ma anche perché acquistano la dignità di documento storico.

In questa breve nota si vuol richiamare all’attenzione quelle medaglie coniate nei secoli che recano l’immagine di S. Michele. Si premette che ricerche in tale direzione sono state compiute già da due illustri storici concittadini di Monte Sant’Angelo, Ciro Angelillis e Giovanni Tancredi ( C. ANGELILLIS, Il Santuario del Gargano e il culto di S. Michele nel mondo, vol. II, Foggia !957, pp. 339 – 349. G. TANCREDI, Apollo e l’arcangelo S. Michele nella religione, nella storia e nell’arte, Roma 1931).

Nella prima metà del XV secolo, il Pisanello incise una medaglia per conto di Alfonso I d’Aragona, il cui disegno si conserva tuttora nel Museo del Louvre (codice Vallardi). In essa si osserva da un lato lo stemma aragonese dall’altro l’arcangelo Michele che porge uno stendardo ad Alfonso inginocchiato in completa armatura.

Disegno della medaglia incisa dal Pisanello.

Nel 1464, una medaglia fu commissionata all’incisore Francesco Laurana verosimilmente da Renato d’Angiò per il figlio Giovanni duca di Calabria e di Lorena, ultimo rampollo della dinastia angioina, il quale tentò la riconquista del reame di Napoli contro Ferdinando I d’Aragona. Tale medaglia, in bronzo e di mm 85, presenta le seguenti caratteristiche. D/ Busto di Giovanni volto a d. con testa coperta da cuffia e, intorno, la leggenda IOHANNES DUX CALABER ET LOTHARINGUS SICULI REGIS PRIMOGENITUS; R/  La leggenda MARTE FEROX RECTI CULTOR GALLUSQ(ue) REGALIS (le due leggende, D/ e R/, unite dovrebbero essere tradotte nel modo seguente: “Giovanni, duca di Calabria e di Lorena, primogenito del re di Sicilia, intrepido guerriero, amico della giustizia e guardiano vigile del reame”), nel campo, tempio rotondo con sei colonne corinzie, porta a cupola sormontata dalla statua di S. Michele con lancia e scudo.  Questa iconografia dell’Arcangelo ha una certa somiglianza con quella proposta sui grossi d’argento napoletani battuti sotto Ferdinando I e Alfonso II d’Aragona, detti “coronati dell’Angelo”. E’ probabile e nulla lo esclude, che la statua possa rispecchiare quella fatta scolpire in argento da Alfonso I in sostituzione dell’altra d’oro da lui stesso rapinata.

Medaglia per Giovanni d’Angiò duca di Calabria e di Lorena (1464). Incisore F. Laurana.

Del medesimo incisore è la medaglia realizzata nel 1469 per Luigi XI di Francia in occasione della fondazione e istituzione dell’Ordine di S. Michele.  D/  Busto del re; R/ Nel campo, lo scudo di Francia circondato dalla collana d’oro del suddetto Ordine cavalleresco, composta di conchiglie d’oro unite da una catena dalla quale pende la medaglia con la figura di S. Michele, intorno la leggenda SANCTI • MICHAELIS ORDINIS • INSTITUTOR• (cfr. Soldi. Rivista mensile di numismatica, medaglistica e carta – moneta, n. 12, Ed. SEAT, dicembre 1967, pp.23 – 24).

Altra serie di medaglie si richiama all’Arcangelo debellatore della peste.

Nel 1576: medaglia con l’effigie di S. Michele che si libra sulla città di Milano oppressa dall’epidemia.

Nel 1667/68: battuta a Bruxelles, una medaglia con figura dell’Arcangelo e la leggenda DIVUS MICHAEL IN PESTE PATRONUS (S. Michele patrono contro la peste).

Ad Erfurt, in Germania, il Celeste Condottiero è raffigurato stante su di uno scheletro nell’atto di rinfoderare la spada in segno di tregua, intorno la leggenda MORS IUGULANS CEDIT VITA SALUSQUE REDIT (La Morte sterminante si ritira e torna la vita e la salute).

In questa veloce carrellata, non si può trascurare la serie delle medaglie papali.

Urbano VIII (Maffeo Barberini di Firenze1623-1644). Per l’anniversario del suo VIII anno di pontificato (1630) fece coniare una medaglia in argento dall’ incisore e maestro della zecca pontificia, Gaspare Mola. Il rovescio piacque tanto al papa che fece obbligo al Mola di coniarla anche per i successivi anniversari. D/ VRBANVS· VIII· PONT· MAX ·AN· VIII Busto a destra a capo scoperto con piviale ornato con i volti di S. Pietro e S. Paolo. R/ TE· MANE· TE VESPERE  Il Pontefice, in ginocchio con triregno al suo fianco, in preghiera di fronte a S. Michele Arcangelo con spada e bilancia su nubi.

Innocenzo XI. Sommo Pontefice 1676-1689. Benedetto Odescalchi di Como. Guerra contro i turchi. Medaglia annuale 1681 anno V in argento. Opus Giovanni Hamerani. AR 25.15 gr;36.16 mm. INNOC·XI ·PONT· MAX· A· V   Busto del Pontefice a destra, a capo scoperto con piviale su cui scena crocifissione; sul taglio della spalla, HAMERANVS F.   R/ IN· COELO· SEMPER· ASSISTITVR   S. Michele Arcangelo brandisce un fulmine e sconfigge il demonio tra le fiamme.

 

Innocenzo XI (1676-1689), Benedetto Odescalchi. Medaglia A. V. Guerra contro i Turchi. D/ Busto a destra con piviale. R/ San Michele Arcangelo scaccia il demonio. AE. mm. 36.00 Inc. Giovanni Hamerani.

La medaglia, come la maggior parte delle emissioni ufficiali, sottolinea la ferma determinazione del Pontefice di sconfiggere per sempre il “demone turco” mediante una grande alleanza, una “Lega Santa” tra tutti gli Stati cattolici europei. Nel gennaio 1680 ebbe inizio anche per la tenace opera del Papa, una dieta per discutere sulle varie modalità della lega; questa doveva essere impostata esclusivamente su principi difensivi a causa della continua opposizione del re di Francia che non era favorevole. Innocenzo XI poté fornire alla lega ingentissimi aiuti finanziari ricavati da severe restrizioni economiche e nuove tassazioni nello Stato pontificio.

 

 

 

 

 

Innocenzo XIII (1721-1724), Michelangelo dei Conti. Medaglia A. I. Elezione al pontificato, mm 31.50. Inc. Ermenegildo Hamerani. D/ INNOCENT· XIII· P· M · A· I   Busto a destra con camauro, mozzetta e stola. R/ CONSTITVI TE PRINCIPEM L’Arcangelo Michele con spada fiammeggiante e bilancia calpesta il domonio.

Innocenzo XIII (1721-1724), Michelangelo Conti di Poli. In commemorazione dell’elezione al Soglio Pontificio. Medaglia annuale 1721 anno I in argento. Opus Ermenegildo Hamerani. AR 14.30 gr. 31.38 mm. INNOCENT· XIII· P· M · A· I  Busto del Pontefice a destra con triregno e piviale su cui la cavalcata del possesso; sul taglio della spalla, HAMERANI. R/  S. Michele Arcangelo radiato e con bilancia sconfigge il demonio e lo ricaccia agli inferi.

 

 

 

 

 

 

 

Innocenzo XIII (1721-1724), Michelangelo Conti di Poli. Possesso della Basilica Lateranense. Medaglia1721 in argento. Opus Ermenegildo Hamerani. AR 18.10 gr;31.51 mm. INNOCENT· XIII· P· M · A· I   Busto del Pontefice a destra con triregno e piviale su cui la cavalcata del possesso; sul taglio della spalla, HAMERANI. R/  ·RENOVABIS FACIEM·TERRAE S.Michele Arcangelo che sconfigge il demonio raffigurato dall’idra dalle sette teste; irradiato dalla colomba dello Spirito Santo, sorregge e custodiscela Chiesa; in esergo, MDCCXXI.

 

 

 

 

 

Innocenzo XIII (1721-1724). Michelangelo Conti di Poli. Auspici per il riassetto della situazione politico-religiosa. Medaglia1721 in bronzo. Opus Ermenegildo Hamerani. AE 48.45 mm. INNOCENT· XIII· PONT· MAX Busto del Pontefice a destra con camauro, mozzetta e stola ornata; in basso sulla cornice, H. R/ RENOVABIS· FACIEM TERRAE·  S. Michele Arcangelo, rivolto verso la Chiesa seduta con tempietto, sconfigge il demonio raffigurato dall’idra dalle sette teste; il tutto irradiato dalla colomba dello Spirito Santo; in esergo, MDCCXXI

Innocenzo XIII (1721-1724), Michelangelo dei Conti. Medaglia per l’elezione. AG. mm. 44.00 Inc. Georg Wilhelm Vestner. D/ INNOC .  XIII – PONT. MAX .   Busto del Pontefice a destra con camauro, mozzetta e stola. R/ IN COELIS • CONSURGET. MICHAEL PRINCEPS • MAGNVS • DAN. 1. Scena allegorica con la Chiesa baluardo contro gli eretici; S. Michele sorvola nel cielo con la spada fiammeggiante.

Michelangelo Tamburini generale dei Gesuiti, 1648-1730. Medaglia (1706) a celebrazione del personaggio (opus: anonimo), fusione in bronzo 63,25 gr. Ø 63,1 mm. P· MIC· ANG· TAMBVRINVS· SOC· IESV· PRÆF· G·  Busto a s. con berretto e mantella. Rv.  DVX· ET· CVSTOS· ELECTORVM· Mosè, scortato dall’Arcangelo Michele  e illuminato dalla colonna di fuoco, guida glie ebrei nel deserto; all’esergo, A•A•D•D•D•

Benedetto XIV (1740-1758). Prospero Lorenzo Lambertini di Bologna. Giubileo. Medaglia1750 in argento. AR 23.49 gr;37.82 mm. BENEDIC• XIV • P• M• A• IVB• Busto del Pontefice a destra con triregno e piviale riccamente decorato; sul taglio della spalla, Hamerani. R/ IN • COELO • SEMPER • ASSISTITVR  S. Michele Arcangelo radiato e con fulmini in mano calpesta e scaccia Satana.

Pio VII (1800-1823), Barnaba Chiaramonti di Cesena. Liberazione del Pontefice dalla prigionia. Medaglia1814 in argento. Opus Federico Brandt. AR 29.62 gr;39.77 mm. PIVS SEPTIMVS. PONT. MAX. A. XV Busto a sinistra con berretto, mozzetta e stola. R/ RENOVATVM. PRODIGIVM. Esergo, S PONTIFICIS REDITVS. RELIGIONIS TRIVMPHVS. A. D. MDCCCXIV. L’Arcangelo libera San Pietro dal carcere.Sulla base che sostiene la scena il nome dell’incisore.

 

Gregorio XVI (1831-1846), Bartolomeo Alberto Cappellari. Medaglia straordinaria A. II.AE. mm. 54.00 Inc. Giuseppe Cerbara. R. Visita del Pontefice all’Ospizio Apostolico del San Michele di Roma. D/ MICHEALI• PRINCIPI ANGELORVM•HOSPITII •AP •ALVMNI; in esergo GREGORII• XVI• P• M• AN• II• San Michele con spada e piede sul diavolo, tutto in quadro rettangolare. R/ Legenda su 10 righe:D· SUMME/DOCTOR· CAELITVM/ORCIQUE· TERROR· MICHAEL/QVI· TE· PATRONVM· COLIMVS/FOVE· TVERE· VINDICA/HOSTISQVE· FRANCENS· IMPETVS/SERVES· PRECAMVR· SOSPITER/DONO· SVPERNI· NVMINIS/ORBI· DATVM/PONTIFICM    Il diritto di questa medaglia é ispirato ad un dipinto di Guido Reni che si trova nella chiesa dei Cappuccini a Roma.

Gregorio XVI (1831-1846). Bartolomeo Alberto Cappellari di Belluno. Ospizio Apostolico del San Michele di Roma. Medaglia straordinaria1832 in bronzo. Opus Giuseppe Cerbara. AE53.96 mm. D/ MICHEALI• PRINCIPI ANGELORVM•HOSPITII •AP •ALVMNI, in esergo GREGORII• XVI• P• M• AN• II• San Michele con spada e piede sul diavolo, tutto in quadro rettangolare. R/ IESV• CRISTO• DEO• SALVATORI •GENERIS• HVMANI Cristo benedicente con globo terrestre nella mano sinistra.

 

 

 

 

 

Benedetto XV (1914-1922). Giacomo della Chiesa di Genova. A ricordo dell’invocazione di Papa Benedetto XV per una giusta Pace. Medaglia straordinaria1919 in argento. Opus Albino Dal Castagnè. AR 158.00 gr;66.66 mm. BENEDICTVS XV P M· PRINCIPIS PACIS· VICARIVS· AN· V· Busto a destra con berretto, mozzetta e stola. R/ PAX IVSTA – AC STABILIS Cristo stante fra gli arcangeli Michele e Gabriele su globo terrestre; in alto, sole raggiante che diffonde luminosità.

Abbiamo riportato solo alcuni degli esempi più noti delle medaglie papali con l’effigie dell’Arcangelo, ma certamente altre sono sfuggite alla mia ricerca. Chi ha passione per questa materia e devozione per il santo Guerriero, può trovare in questo modesto contributo una base di partenza.

Per quanto riguarda l’effigie di S. Michele, a parte gli esempi su riportati, non ho notizie di altre medaglie. Occorre attendere la seconda metà del XX secolo. I Padri Benedettini di Montevergine, subentrati nel 1970 come custodi del Santuario micaelico del Gargano al Clero Capitolare, in occasione dell’Anno Santo del 1975, intesero celebrare l’avvenimento, tra le altre iniziative, anche facendo coniare una medaglia argentata: D/ Busto dell’Arcangelo della statua che si venera nella Grotta e attribuita al Sansovino (oggi, è noto, nuovi e più felici studi hanno assegnato l’opera all’artista fiesolano Andrea di Pietro Ferrucci 1465 – 1526), privo della corona e aureolato; R/ Veduta dall’alto dell’ottagonale campanile angioino. Di questa medaglia non dispongo neppure di una fotografia.

I medesimi Padri, per le celebrazioni del XV centenario delle apparizioni di S. Michele sul Gargano, commissionarono all’incisore Tiquino, nativo di Monte sant’Angelo e residente a Roma, la seguente medaglia di bronzo argentato.

Medaglia 49 mm

D/ S. Michele in atto di trafiggere il drago con la lancia, ai lati il motto QUIS UT/ DEUS; intorno al bordo ·XV·CENTENARIO·DELL’APPARIZIONE-DELL’ARCANGELO=MICHELE; sotto il drago su due linee MONTE / SANT’ANGELO. R/ Cinque riquadri in cui si rappresenta, rispettivamente, l’episodio detto “del toro”, la processione dei Vescovi per la consacrazione della Grotta (ambedue tratte dall’Apparitio), l’Arcangelo che benedice i soldati longobardi, pellegrini che ascendono il monte, il Santo che apparendo ad un ammalato lo guarisce; al centro le date 590 – 1990.

Con questi precedenti, non poteva mancare da parte dei nuovi custodi del Santuario, i Padri della Congregazione di S. Michele (Micheliti)la promozione di una medaglia che celebrasse degnamente l’Anno del Giubileo 2000. La circostanza così particolare per il mondo cristiano non poteva, infatti, non sollecitare un messaggio ed un invito alla riconciliazione con Dio da parte del millenario Santuario, meta incessante da tutto il mondo di milioni di pellegrini (dall’UNESO riconosciuto nel 2011 patrimonio dell’umanità).

La medaglia, progettata e proposta dal sottoscritto, è stata coniata in argento, in bronzo argentato e in bronzo (non sono a conoscenza del nome del mediocre incisore). In essa si è voluto mettere in evidenza il luogo primigenio del culto micaelico in Occidente, i rilevanti monumenti d’arte sorti intorno all’area santuariale e nella città e, infine, l’aspetto più importante , il richiamo alla memoria storica dell’itinerario salvifico tipo dei pellegrini dell’Evo Medio e Moderno, cioè, Roma – HOMO – per venerare le tombe degli Apostoli Pietro e Paolo (ma anche S. Giacomo di Compostella in Spagna), la Grotta di S. Michele a Monte Sant’Angelo – ANGELUS -, Gerusalemme per adorare il Santo Sepolcro di Gesù – DEUS -.

Medaglia 30 mm

D/ Raffigurazione geografica dell’itinerario salvico HomoAngelusDeus sul quale domina l’effigie di S. Michele secondo l’interpretazione del fiesolano artista Andrea di Pietro Ferrucci; a desta su tre linee HOMO / ANGELVS / DEVS, a sinistra GIUBILEO 2000.

R/ Veduta aerea dell’atrio superiore della Basilica e dell’annesso ottagonale campanile del XIII secolo, sullo sfondo l’interno della Grotta, al centro l’altare dell’Arcangelo; nella parte superiore del bordo, a semiluna su due righe, sono riportate le parole del “Perdono Angelico” UBI SAXA PANDUNTUR IBI PECCATA HOMINUM DIMITTUNTUR/ HAEC EST DOMUS SPECIALIS IN QUA NOXIALIS QUAEQUE ACTIO DILUITUR.

Accanto alle medaglie papali, poi, possono trovare una collocazione quelle portative o di devozione. Ebbero ed hanno una larga diffusione dovuta al desiderio, presente in ogni epoca e in ogni civiltà, di portare sulla persona un simbolo di fede. Una delle più antiche testimonianze riguardo all’usanza delle medagliette devozionali risale a S. Genoveffa che nel V secolo ricevette da S. Germano di Auxerre, legato del Papa Celestino, una medaglia benedetta con una croce incisa (nummum aerum Dei nutu allatum habentem signum crucis).

L’impiego di queste medagliette si diffusero in Italia ed in Europa solo dopo il Concilio di Trento, che si chiuse nel 1563, soprattutto in occasione degli anni santi e delle canonizzazioni.

Si tratta di oggetti metallici generalmente di metallo povero e di dimensioni piccole rispetto a quelle commemorative, di forma per lo più rotonda e ovalare, ma anche ottagonale o a cuore, con figure ed iscrizioni sbalzate o incise. Dotate di anellini, di fori o d’appiccagnoli (trasversali o complanari), esse erano allacciate direttamente al collo per devozione ai Santi raffigurati e ritenuti speciali protettori. Naturalmente avevano anche valore apotropaico nella cultura e nella credenza popolare e a volte, a Monte Sant’Angelo, venivano inserite tra l’intonaco o le pietre di costruzione delle case in segno augurale. Le medagliette rappresentano oltretutto un importante indicatore cronologico per il periodo post medievale, perché alcune raffigurazioni di santi consentono una datazione del manufatto.

In questo lavoro abbiamo inserito alcune di queste rinvenute nell’area del santuario michaelico sia dai Padri Benedettini di Montevergine, custodi del venerabile luogo fino al 1996, sia da privati cittadini in altre zone della città. La loro circolazione, certamente limitata all’area geografica dell’Italia centro – meridionale, ha una notevole importanza per la storia del culto micaelico, perché indicativa delle direzioni dei pellegrinaggi da Roma al Gargano e, verosimilmente, verso Gerusalemme, così come si può desumere dalla presenza in loco di altri simili reperti e in paticolare da una medaglia porta reliquie in cui è raffigurato il Calvario da un verso e dall’altro, forse, il Santo Sepolcro.


Qualche medaglia venne commissionata anche dal Clero Capitolare della Basilica garganica, così come si desume da un cenno fatto nella Platea della Basilica del 1678 a proposito dell’uso da fare dei proventi ricavati dalla cosiddetta “Gabella dell’atrio”: ”Questa gabella conviene stampare medaglie, con l’immagine di S. Michele concessa dalla Regina Giovanna prima duchessa di Durazzo nel 1362…” (Platea, p. 133). In verità, si tratta di una concessione fatta non dalla regina Giovanna I d’Angiò, ma dall’omonima nipote, figlia della sorella Maria e di Carlo conte di Durazzo e Signore del’’Onore di Monte Sant’Angelo, dal quale, nel 1362, Giovanna aveva ereditato il titolo e i feudi.

Due medagliette di bronzo, da ascrivere al XVII secolo, mostrano un’incisione delicata e accurata. Sono state trovate, rispettivamente, l’una nelle adiacenze dell’attuale chiesetta rupestre dell’Incoronata, nei secoli passati dedicata a S. Leonardo e luogo di sosta per i pellegrini e viandanti quasi al termine di quella medievale via detta di S. Simeone che da Manfredonia saliva a Monte Sant’Angelo. L’altra proviene dall’area della Basilica. Ambedue probabilmente furono fatte coniare dai Cavalieri Teutonici del monastero di S. Leonardo in Lama Volara (Siponto).

  


 

 

 

 

Sulla prima medaglietta (14 mm) è raffigurato da un verso S. Michele vessillifero, nella mano sinistra la bilancia, reso alquanto dinamico nell’atto di piombare sul demonio dalle sembianze di serpente e schiacciarlo col piede sinistro, dall’altro verso l’immagine di S. Leonardo vestito di saio con la classica catena nella mano sinistra e, intorno, la leggenda SAN • LIONARVS.

Sulla seconda medaglietta (24 mm) vi è raffigurato, in forma piuttosto statica, al D/ l’Arcangelo con spada e bilancia nell’atto di calpestare il serpente – diavolo con ambedue i piedi, al R/ S. LIONARDO l’effigie di S. Leonardo abate, sul petto del saio una croce teutonica, la catena nella mano s. e nella destra le manette (o un libro?), all’esergo la scritta ROMA.

Dunque, S. Michele, S. Leonardo, Roma. Un preciso itinerario spirituale di fede che definisce e precisa le tappe sulla Via Francigena del Sud nel tratto tra Arpi (Foggia) e Siponto. In due successivi documenti l’itinerario è indicato anche come “Strata peregrinorum” (1132) e Stratam magnam quae pergit ad Sanctum Michaelem” (1201). Prima di Siponto s’incontra il monastero di S. Leonardo in Lama Volara (Siponto), gestito nel XIII secolo dai Cavalieri Teutonici, la cui chiesa, dedicata al Santo dei carcerati, era meta anche di pellegrinaggio. Ciò spiega l’abbinamento delle due immagini sulle medaglie e c’informa che il monastero fungeva anche da centro d’accoglienza per i pellegrini diretti al Gargano e negli altri Santuari della Puglia prima d’imbarcarsi per la Terra Santa.

Al XVII – XVIII secolo vanno datate, sia pure con eccessiva prudenza, le medagliette di seguito descritte.

Medaglietta18 mm

1 – D/ VIVIT DEVS L’Arcangelo Michele con il capo aureolato, le ali spiegate, vestito di tunica, lorica e con clamide svolazzante nell’atto di trafiggere con la spada il drago dal volto umano avvolto dalla catena R/ ANGELVS CVSTOS L’Angelo custode. La medaglietta ha la forma di un ottagono. L’incisore sembra essersi ispirato ai grandi maestri del Seicento, in particolare a Guido Reni e a Pietro da Cortona.

Medaglietta 21 mm

2 – D/ Il Santo con spada librante e bilancia e ali spiegate, nell’atto di balzare sul serpente dal capo umano e calpestarlo con il piede destro. R/ MATER SALVATOR Busto della Madre di Dio col capo velato.

 

 

 

 

 

Medaglietta 25 mm

3 – D/ MICH • ARCHAN• Come la precedente.

R/ CAPVT• S•  ANAST• MON• P• M•

4 – Medaglietta 25 mm (calco matita)

D/ Come precedente. R/ Anime del Purgatorio tra le fiamme, supplicanti e oranti la Vergine con Bambino radiata tra le nubi.

Medaglietta 21 mm

5 – D/ MICHAEL ARCH Come la precedente.

R/ Tre figure tra le fiamme, oranti e in atteggiamento supplicante, hanno lo sguardo rivolto verso un calice sormontato da ostia crociata avvolto in ghirlanda.

Medaglietta di forma ottagonale13 mm

6 – D/ Leggenda non visibile. Come precedente. R/ Come precedente con variante nelle tre figure.

In seguito, l’introduzione di nuove tecnologie (gli “stampini”) provoca sul mercato l’invasione di una gran quantità di medaglie e medagliette votive, in genere di nessun valore artistico e conclude, per quanto mi è stato possibile appurare, un ciclo storico.

Oggi la devozione popolare è soprattutto e prevalentemente per la Santa Madre di Dio. La Sua immagine viene proposta secondo i molti Suoi titoli e, tranne occasioni particolari e nuove canonizzazioni, è questa l’immagine imperante.

Aggiungiamo, qualora fosse ancora necessario provare la dimensione mondiale della devozione all’Arcangelo S. Michele, qualche altro esempio.

 

Un angel di Enrico VIII.

Angel (in inglese angel o meglio angel noble) è una moneta d’oro dei re d’Inghilterra, emessa per la prima volta nel 1465  daEdoardo IV  (1461 – 1483). Era una nuova emissione del noble e presentava al D/ hENRIC*VIN* DI* GRA* REX* AGL*Z*E’, l’Arcangelo Michele  in piedi che trafigge un drago con la lancia. Al R/ PER* CRVCE *TVA* SALVA* NOS* XRE* REDE, un’imbar-cazione con l’albero che sosteneva lo scudo con le armi d’Inghilterra e di Francia.

       Il valore era di 6 scellini e 8 pence e pesava 80 grani, cioè 5,184 g. Fu battuta per l’ultima volta nel 1634 da Carlo I. Era la moneta che veniva data ai malati di scrofola guariti dall’imposizione delle mani regali.

Quando la moneta non fu più emessa al suo posto veniva data una medaglia con la stessa immagine.

MONT SAINT-MICHEL, Francia. Medaglia in bronzo (mm 72) commemorativa del millenario della fondazione, 966 – 1966 (incisore: M. Charon).

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FERROVIA TORINO-CONI-VIEVOLA (GALLERIA COLLE DI TENDA) – Medaglia commemorativa in bronzo del febbraio 1898. D/ Nel centro l’Arcangelo Michele, con una spada nella mano destra, colpisce Plutone steso su rocce. R/ Nel centro l’ingresso della galleria con sopra lo scudo sabaudo rilevato su panorama di montagne( mm. 40): Autore: Jlovski.

Stati Uniti d’America

Questa medaglia raffigura il protettore delle forze di Polizia San Michele Arcangelo, con il retro lo stemma della Polizia americana.

Fa parte delle medaglie dette Le challenge coins (medaglie sfida) sono,cioè, monete o medaglioni ( ad uso militare), recanti l’insegna o l’emblema e il motto di un dato corpo o organizzazione, che vengono consegnate ai loro membri  per particolari meriti, o per anniversari storici di un determinato gruppo. Sono usate anche per scambi tra colleghi e per riconoscimenti ai compagni dopo una missione in comune.


Medaglia a cura dell’Ass. S. Michele a New York

Diam. 41,5 anno 1846 emessa in AE e AE dorato D/ ST. MICHAEL .  PRAY FOR  US.  S.Michele in atto di trafiggere il demonio con la spada R/  BLESSED BY HIS HOLINESS PIUSIX FOR THE MEMBERS OF: Il Triregno e le chiavi decussate e legate da nastro coronano libro inscritto: ST.MICHAELIS/ ASSOCIATION/ NEW YORK.

La Società Northwest Territorial Mint della città d’Auburn nello stato di Washington (Stati Uniti America), ha prodotto una serie di medaglie con l’effigie di S. Michele per onorare tutti i corpi militari ufficiali e quelli del volontariato militare statunitense. Il verso delle medaglie è sempre identico per tutti i tipi, vale a dire l’immagine di S. Michele (ma anche di S. Floriano) con spada e bilancia con Lucifero sotto i suoi piedi, i rovesci, invece, cambiano secondo il reparto militare cui è diretto. Di seguito, a titolo esemplificativo si riporta solo qualcuna di esse. Anche la scelta dell’Arcangelo come patrono è unica, perché è la personificazione della difesa della legge contro i malvagi  per la libertà dei popoli.

 

Esercito degli Stati Uniti d’America

Medaglia di 39 mm de National Rifle Association, o NRA.

D/ S. Michele con spada e bilancia in atteggiamento trionfante su Lucifero ormai atterrato; sopra, a mezzaluna, SAN MICHAEL, sotto PATRON SAINT OF LAW ENFORCEMENT .

R/ •DEPARTMENT OF THE ARMY• UNITD STATES OF AMERICA Emblema distintivo della NRA, sul corpo del serpente il motto THIS WE’LL DEFEND, sotto al centro 1775.

La National Rifle Association, o NRA, è un’organizzazione di avvocatura per il possessori di armi(da fuoco) degli Stati Uniti. Si occupa di promuovere la sicurezza nell’uso delle armi, organizza corsi di maneggio ed eventi sportivi relativi alle armi, ed è spesso considerata come una delle più potenti organizzazioni degli Stati Uniti. Venne fondata a New York nel 1871 con il nome di American Rifle Association, e viene frequentemente definita come la più antica organizzazione per i  diritti civili (essendo il possesso e il porto di un’arma un diritto civile protetto dalla Carta dei Diritti statunitense, in particolare dal secondo emendamento).

Agenti  speciali delle forze dell’ordine,  rigorosamente formati, detti  Squadre dello SCHIAFFO (armi speciali e tattiche), specializzati nella risoluzione dei conflitti ad alta intensità.   

 

 

Dipartimento della Marina degli Stati Uniti d’America.

Sperlonga

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MATTINATA – CONTRADA “SPERLONGA”

CONVENTO DI S. STEFANO

Non lontano da Mattinata, , al centro di un’amena valle e protetta da una corona di piccole alture, in località Sperlonga, è possibile ancora ammirare i consistenti ruderi dell’ex convento di S. Stefano, edificato nel sec. XI sull’area di una necropoli paleocristiana del IV – V secolo. Gli ipogei, in parte distrutti e in parte incorporati nelle fondamenta delle fabbriche, nell’alto Medioevo ospitarono verosimilmente alcuni monaci eremiti basiliani, desiderosi di vivere in solitudine, nella preghiera e nella penitenza, giungendo alla fine a costituire una piccola comunità monastica.

Panoramica del complesso monastico della Sperlonga.

Sull’origine del convento, comunque, non si ha, al momento, alcuna notizia. Nei documenti compare per la prima volta, col titolo di S. Stefano, in una bolla del 1177 di papa Alessandro III, indirizzata al Priore Antonio di Pulsano. In essa si confermavano tutti i possedimenti della famosa badia dei monaci pulsanesi, tra cui “Monasterium Sancti Stephani quod Matinata consistit cum pertinantiis suis” (Il Monastero di Santo Stefano che si trova presso Mattinata con tutte le sue pertinenze).
A tale data, dunque, il convento era una dipendenza dell’Abbazia di Pulsano. Ma nella seconda metà del sec. XII, esso passò all’Abbazia di Monte Sacro, ubicata sempre nell’agro di Mattinata, fondata agli albori dell’XI secolo. Questa ben presto divenne una delle maggiori potenze monastiche della Capitanata e i suoi monaci usavano trascorrere i rigidi inverni garganici nella più mite valle della Sperlonga, appunto presso la loro dipendenza.
L’annessa chiesa del convento, nucleo forse primitivo attorno al quale è sorto poi l’intero complesso, è di forma rettangolare e misura m 8,30 x 5,65. Negli anni Cinquanta del trascorso secolo, vi era ancora un diruto altare e, sulle pareti laterali, si notavano consistenti tracce di affreschi.
Intorno agli anni Sessanta, alcuni arredi scultorei furono sottratti all’incuria del tempo e ai “vandali” di turno, trasportandoli in casa dell’allora Arciprete don Giuseppe Azzarone. In seguito, i bassorilievi raffiguranti l’Eterno Padre, l’Ascensione di Cristo e altre varie statue, hanno trovato una sistemazione più consona sul frontone della chiesa parrocchiale di Mattinata e al suo interno.
Oggi il complesso monastico è completamente compromesso (altro che filmini, caro amico Latino di Mattinata!) anche se molto ci sarebbe ancora da salvare. Ma, purtroppo, questa è l’Italia e gli Italiani!
L’ingresso della chiesa conserva la decorazione a losanghe e a rosette del sec. XV. Nell’edicola sovrastante a tutto sesto, vi era una statua di pietra del XIV secolo raffigurante il re Davide mentre suona la lira, ora (speriamo!) conservata  con altri reperti vari presso la collezione degli eredi del benemerito farmacista di Mattinata, dr. Matteo Sansone.

Prospetto della chiesa annessa al convento.

Particolare decorativo di uno stipite dell’ingresso alla chiesa.

Interno della chiesa.

Interno della chiesa. Residui d’affreschi sulla parete destra.

Il fronte principale del’ingrsso al convento.

Al convento si accede tramite un magnifico portale bugnato di ottima fattura (sec. XV – XVI). Sulle bugne e sugli stipiti (ma anche su alcuni conci delle murature interne ed esterne) vi sono alquanti graffiti, date, nomi e simboli. Di questi ultimi, alcuni sono di devozione, altri, invece, sono segni e simboli decisamente dissacratori, legati al mondo della magia e della superstizione, come, per esempio, una croce latina rovesciata, decussata nella parte mediana del palo e orbicolata in tutti e quattro gli estremi.

Il portale bugnato del convento.

Segni e simboli graffiti su di una bugna del portale.

Graffiti.La croce dissacratoria, nomi, stella a cinque punte.

Interno atrio convento. Segni e simboli graffiti su un concio.

LEONE, PRIMO ARCIVESCOVO SIPONTINO E GARGANICO

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II

LEONE, PRIMO ARCIVESCOVO SIPONTINO E GARGANICO

Uno dei  periodi più interessanti della storia del   Santuario e della città dell’Arcangelo, ritengo possa essere unanimemente attribuito all’XI secolo, sia per il rilievo degli avvenimenti che lo caratterizzarono, sia per la presenza d’alcuni personaggi che hanno contribuito notevolmente all’affermazione del loro ruolo storico e culturale.

Nella prima meta di questo secolo, la diocesi di Siponto, nella cui giurisdizione insiste il Santuario di S. Michele, riacquista la sua autonomia da Benevento ed è elevata alla dignità di arcidiocesi, a capo della quale è posta una forte personalità, quella di Leone Garganico (1023 –1050?), già sacerdote latino del capitolo della Basilica.

Le notizie su Leone non sono molte e non sempre completamente attendibili. Un’approfondita indagine su questo illustre prelato è stata eseguita da Ciro Angelillis (Profili di personaggi antichi e moderni della città di Monte Sant’Angelo, Lucera 1908; L’antichissimo Comune di Monte Sant’Angelo, Lucera 1914; Il Santuario del Gargano e il culto di S. Michele nel mondo, voll. 2, Foggia 1955 – 1956), il quale, però, lasciandosi trasportare dal sentimento d’amore per la sua terra, opera un’amplificazione “eroica” del personaggio sulla scorta di  semplici indizi e di congetture non supportati da una probante documentazione. Un buon esame critico della figura storica di questo Arcivescovo è svolto, invece, da A. Ciuffreda (Uomini e fatti della Montagna dell’Angelo, Foggia 1989), che ne tratteggia un profilo abbastanza convincente, ma che, a mio  parere, risente troppo della preoccupazione di “guardarsi dalla tentazione di imporre aureole”, finendo, così, per ridimensionare eccessivamente il personaggio.

Non è mia intenzione entrare nei particolari della questione, perciò, a quanti  desiderano saperne di più, rinvio alle opere citate. Vero è, in ogni caso, che, nativo di Monte Sant’Angelo, l’Arcivescovo Leone I (come arcivescovo, II come vescovo) preferisce dimorare nella città garganica, intitolandosi Arcivescovo sipontino e garganico. Fa costruire, forse, il palazzo arcivescovile, da identificarsi con molta probabilità nell’attuale edificio di Via Reale Basilica, 52, oggi rimaneggiato, ampliato e destinato ad uso privato. Ma soprattutto egli si trova al centro di un programma d’arricchimento architettonico e decorativo tanto del Santuario di S. Michele, quanto della cattedrale di Siponto.

Non ci sono pervenuti documenti che attestano la data della sua elezione, tuttavia essa non può essere certamente posteriore al 1023, come si desume da un suo atto di donazione della chiesa abbandonata di S. Maria di Calena con tutte le sue pertinenze, al monastero di Tremiti, nel quale si sottoscrive “En Ego Leo divina concedente gratia sancte Sipontine sedis ARCHIEPISCOPUS” (cfr. A. PETRUCCI, Codice diplomatico del monastero di Tremiti, Roma 1960, pp. 24-27, doc. n. 8).

Peschici. Interno della chiesa di S. Maria di Calena.

La maggior parte degli studiosi ritiene che la sua nomina ad arcivescovo gli sia stata conferita dalle autorità bizantine al tempo in cui Siponto e il Gargano erano sotto la giurisdizione dell’impero d’Oriente, “al fine precipuo di staccare i Longobardi di Capitanata da quelli dei Principati e di meglio assicurare la loro fedeltà politica” (cfr P. CORSI, Le diocesi di Capitanata in età bizantina: appunti per una ricerca, in AA.VV., Storia e arte nella Daunia medievale, 1985 p. 57) e ratificata, solo in seguito ad una politica di riavvicinamento tra Roma e l’impero d’Oriente, dal papa Benedetto IX “ in un periodo compreso tra il 1036 ed il 1040” (cfr. P. CORSI, op. cit., p.68). Che Leone abbia goduto il favore delle autorità bizantine, lo confermano alcuni documenti ufficiali riguardanti il monastero di San Giovanni in Lamis (oggi S. Matteo), nei quali, per sua intercessione, sono concessi dei privilegi (cfr. P. CORSI, op. cit.p.69).

E’ Leone, dunque, che fa gli onori di casa, quando l’imperatore Enrico II il santo, impegnato nell’assedio di Troia, unitamente al papa Benedetto VIII, suo sostenitore contro i Bizantini, ascendono (1022) in pellegrinaggio il Gargano per venerare il Celeste Condottiero (cfr. F. CARABELLESE, L’Apulia e il suo comune nell’Alto Medioevo, Bari 1905, p. 164). Della visita al Santuario di questo pio imperatore hanno trattato, oltre a diversi scrittori italiani e germanici, anche C. Angelillis (Il Santuario del Gargano … cit. vol. II, 1956, pp. 197 e ss.) e, ultimamente, M. Azzarone in un articoletto apparso sulla rivista del Santuario “Michael”.

Enrico II il Santo (miniatura).

Durante il pontificato di Leone, la celebrità del Santuario assume definitivamente una dimensione europea e l’Angelica Spelonca viene consolidandosi quale tappa insostituibile nel circuito della più celebrata peregrinatio medioevale per Gerusalemme (Homo – Angelus – Deus). Monte Sant’Angelo diventata gradatamente punto d’incontro di pellegrini, commercianti e crociati provenienti dall’Italia e da tutta l’Europa cristiana. I rapporti tra questa gente e gli abitanti del posto, lo scambio d’esperienze culturali ed artistiche diverse, sono i presupposti sui quali proprio nella città dell’Arcangelo maturano i primi nuovi canoni artistici del romanico in Puglia, i quali, passando per Siponto, si diffondono fino a Canosa, a Trani e a Bari.

Il merito di tale fioritura si deve all’arte dello scultore Acceptus, contemporaneo di Leone, anch’egli nativo del luogo e prima dignità del Capitolo garganico. Nelle sue opere, pervenuteci in modo frammentario, (eccetto il pulpito della cattedrale di Canosa), si riconosce, pur nel prevalere ancora dell’influenza culturale bizantina, una capacità creativa ed espressiva autonoma e originale. Sono state, infatti, proprio le sue sculture, realizzate per la diocesi di Siponto a permettere di ricostruire la rete storica ed evolutiva del romanico pugliese.

Monte Sant'Angelo, Museo Lapidario della Basilica. L'aquila dell'ambone di Acceptus.

Se l’esordio di tale attività artistica si debba far risalire a Leone, quale promotore o mecenate, o come semplice animatore (vedi A. Ciuffreda, op. cit., p. 85 ) è, a mio parere, poco rilevante perché non cambia la consistenza delle vicende storiche e culturali che contraddistingue il suo episcopato. Non a caso, infatti, è questo il periodo in cui il Santuario e la città si arricchiscono d’opere d’arte e sono tracciati gli elementi essenziali del loro futuro prestigio religioso e politico.

Il nostro Arcivescovo forse non è stato uno stinco di santo, come sostiene in conclusione A. Ciuffreda nel citato suo saggio,   forse, quello di Leone non è stato “il periodo più fortunato e fiorente per il nostro popolo”, come asserisce l’Angelillis ( Il Santuario del Gargano… cit., vol. I, p. 272), ma non si può che essere d’accordo con quest’ultimo (Ibidem, p. 295) sul fatto che a Leone, direttamente o indirettamente, si deve l’emancipazione della diocesi sipontina da quella di Benevento e la vivacità religiosa, culturale ed artistica della città dell’Arcangelo in questa prima parte di secolo.

C’è di più. Due storici dell’arte, il tedesco Schulz e il francese Berteaux, visitando nel XIX secolo il Santuario e osservando la marmorea cattedra episcopale (XI-XII sec), affermano di aver letto alla sua base l’iscrizione “SUME LEON[I] (“attribuisci quest’opera a Leone”, cioè all’arcivescovo sipontino – garganico Leone I), equivalente a “ESTO LEONI” letto dal Wackernagel su di un frammento marmoreo della coeva cattedra sipontina.

Monte Sant'Angelo, Grotta di S. Michele. La cattedra episcopale.

Il duplice titolo usato da Leone e che si è voluto intenzionalmente ricordare, tende a riassumere il senso dell’iscrizione riportata sullo schienale della cattedra, vale a dire in parole semplici che Monte Sant’Angelo e Siponto hanno gli stessi diritti di cattedrale. Per questo, Alfredo Petrucci non esita a definirla come la “cattedra del litigio” tra i due cleri, garganico e sipontino, circa la famosa e annosa querelle sulla concattedralità delle due chiese. In realtà il nostro prelato non fa altro che applicare alla lettera ciò che varie bolle papali, a cominciare da quella ritenuta falsa di Vitaliano I (668), confermano ad ogni nuovo vescovo metropolita di Benevento, sempre, più o meno, con le seguenti parole: ”Concedimus tibi Bibinum, Ausculum,   Larinum… et Ecclesia Sancti Michalis Archangeli in Monte Gargano et Sipontinam Ecclesiam” (trad. “Concediamo a te [cioè, al vescovo di Benevento] Bovino, Ascoli, Larino, … la Chiesa di S. Michele Arcangelo sul Monte Gargano e la Chiesa Sipontina”). 

Alcuni storici dell’arte sostengono che tale iscrizione è posteriore all’esecuzione della cattedra. Essa, in ogni caso, è sintomatica di uno stato di disagio, d’insofferenza da parte tanto del clero quanto dei cittadini montanari, i quali aspirano a veder riconosciuto ufficialmente sia un antico diritto, sia l’importanza raggiunta dal Santuario e dalla città. Di fatto, d’ora in poi e per circa tre secoli, i due cleri saranno sempre in lotta tra loro, con alterne conferme e smentite papali, fino al 1661, quandola Sacra Congregazionedei Vescovi Regolari risolve definitivamente la questione a favore della “nuova Siponto”, Manfredonia.

Incerta è la data della morte di Leone. Alcuni ritengono che l’arcivescovo, durante il Sinodo del 1050, tenuto a Siponto dal papa Leone IX (una delle molteplici assisi promosse da questo papa, il quale si diede con energia alla riforma del clero), sia stato destituito, perché avrebbe acquistato il titolo in modo non lecito. Da ciò, la sua scomparsa dalla scena. Altri, invece, sostengono che egli sia morto subito dopo il Sinodo.

Francobolli commemorativi emessi dal Vaticano nel millennio della nascita di Papa Leone IX.

Sta di fatto che, per l’eccessiva litigiosità del clero sipontino e garganico, Leone IX, non sapendo, o non volendo prendere una decisione a favore dell’uno o dell’altro, nel 1053, con la bolla “Cum summae apostolicae dignitatis. Apex.” unisce nuovamente la diocesi sipontina a quella di Benevento.

MATTINATA. GROTTA DELLE COLONNE

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CHIESE RUPESTRI

MATTINATA “Coppa del Principe”

La “Grotta delle Colonne”

Nei pressi del porto di Mattinata, in località “Coppa del Principe”, abbiamo localizzato alcuni ipogei paleocristiani rimaneggiati, tuttavia leggibili, utilizzati ad ovili. Li abbiamo solo visitati, perché non ci hanno permesso di fare rilievi e fotografie. Altri complessi, ricordati dal farmacista Matteo Sansone, oggi appaiono completamente distrutti.

Preceduto da uno spiazzo rotondeggiante, dove rovi ed erbacce denunziano lo stato di abbandono del luogo rurale, si trova un’ampia caverna, il cui ingresso ad arco ribassato è caratterizzato dal fatto di essere costruito con la tecnica del muro a secco. Dopo averlo attraversato, però, notiamo gli stipiti ben elaborati in pietra da taglio di un probabile originario portale.

Ingresso esterno alla grotta.

Ingresso interno alla grotta.

L’interno presenta un ampio e unico ambiente con cinque grosso colonne cilindriche (da cui l’appellativo di “Grotta delle Colonne”), di diverse altezze e circonferenze, rispettivamente, due da m 2,70 ca., una da m 3, da m 1,00 e m 2,50. Quattro di esse sono disposte al centro e una in fondo alla gola; sono tutte rivestite di mattoni di pietra gentile e intonacate. Esse sostengono l’irregolare volta terminante a cupola, ma leggermente schiacciata, al centro della quale si apre un lucernario.

Interno con le colonne.

Interno della grotta.

Interno della grotta. Particolare delle colonne.

La grotta non presenta tracce di sepolture, ne segni tali da far  pensare ad un sepolcreto. Persone anziane del posto hanno riferito che, un tempo, sull’intonaco delle colonne erano ben visibili tracce di affreschi. Ciò, unito ai suoi elementi strutturali, ha indotto il prof. R. Battaglia, dopo averla visitata in occasione di una campagna paleo-etno-geografica sul Gargano, a ipotizzare che lo speco, dopo essere stato quasi certamente frequentato dall’uomo della pietra, è divenuta in seguito un luogo di riunione o forse una chiesa dei primi cristiani della zona.

MONTE SANT’ANGELO -EREMO DI S. LUCIA

MONTE SANT’ANGELO – CONTRADA “SCANNAMUGLIERA”

EREMO DI S. LUCIA

Superato “Jazzo Ognissanti”, quasi alla fine della faticosa mulattiera di “Scannamugliera” ( dal gotico Scanderh Molelrh, cioè “forte e grande a salire”), circondata da un incantevole habitat rupestre, s’incontra, recintata da un alto muro a secco, un’altra meravigliosa testimonianza paleocristiana rupestre, l’eremo denominato S. Lucia (sec. V – VI).

L'habitat rupestre che circonda l'eremo di S. Lucia.

Eremo di S. Lucia. Recinto e ingresso esterno in muro a secco.

Ingresso all'eremo.

Si tratta di due attigui ed intercomunicanti ambienti interamente cavati nella roccia, al cui interno, completamente spoglio, si notano alcuni giacitoi. Sulle pareti sono graffiate innumerevoli croci d’ogni dimensione e tipo, e segni e simboli vari. Hanno la volta a cupola e, quello di destra, al centro, è dotato di un grosso lucernario e ospita un interessantissimo e raro graffito variamente interpretato. La maggior parte degli esperti afferma che si tratta della raffigurazione di un pellicano nell’atto di scarnificarsi il petto per dar forza col suo sangue alla chiocciata, mentre è aggredita da un serpente. La scena è chiaramente allusiva al Cristo (pellicano) che, sacrificandosi sulla Croce, col suo sangue salva l’umanità dal peccato (serpente). Altri, invece, pensano si tratti di un’aquila ad ali spiegate mentre afferra con il rostro un serpentello attorcigliato, significante Cristo che difende la Chiesa dal Maligno.
Anche questo romitorio, come del resto la chiesetta rupestre di Ognissanti, è occupato, oggi più di ieri, da pastori e contadini. Medita bene Legambiente! Povera Italia!

Eremo di S. Lucia. Interno destro con il lucernario.

Eremo di S. Lucia. Interno destro con il lucernario.

Eremo di S. Lucia. Interno sinistro,

Eremo di S. Lucia. Il graffito del pellicano.

CHIESA RUPESTRE “OGNISSANTI”

CHIESE RUPESTRI

 MONTE SANT’ANGELO – Scannamugliera.

Chiesa di Ognissanti

Dalle pendici di Monte sant’Angelo, frazione di Macchia Madonna delle Grazie, s’inerpica un’antica mulattiera, percorsa (in misura molto minore lo è ancora) dai pellegrini sin dalle origini del culto di S. Michele. A quota 410 m s. l. m., inserita in uno dei più incantevoli paesaggi rupestri del Gargano s’incontra la suggestiva chiese di Ognissanti, cavata nella roccia del costone destro della Valle Scannamugliera. Questo toponimo non è altro che la corruzione popolare della denominazione della valle frequentata nell’alto Medioevo, Scanderh Molelrh, che, citando il Pellanegra, il dotto secentista fra’ Marcello Cavaglieri spiega: “In lingua gotica risuona: forte e grande a salire”, proprio per evidenziare la difficoltà della scalata (cfr. M. CAVAGLIERI, Il pellegrino al Gargano, Macerata 1680, p.436.).

La mulattiera è caratterizzata per lunghi tratti da una serie di scalini scavati nella roccia dai contadini, dai pastori e, spesso, anche dai devoti al fine di rendere la salita più agevole e meno aspra. Perciò gli stessi pellegrini l’hanno denominata “Scala Santa”. Santa anche perché ad essa avevano legato alcuni particolari riti penitenziali.

Attorno alla chiesa, nel IX secolo, sotto l’incalzare delle scorrerie arabe, o, forse, anche per una precedente presenza monastica o di santi eremiti, gli abitanti della pianura sottostante dettero vita ad un agglomerato civile. Tutto intorno, infatti, da Coppa Turmite al Monte Stregaro, da Coppa Turanda a Ripa Santa si scorgono abitazioni in rupe di una o due grotte intercomunicanti e tutte fornite di camino e collegate le une alle altre ai diversi livelli di piano da viottoli e da scalinate incavate nel banco roccioso, fino a raggiungere – come osserva C. Serricchio –l’insediamento più consistente di “Iazzo Ognissanti” (cfr. C. SERRICCHIO, L’insediamento rupestre di Jazzo Ognissanti in territorio di Monte sant’Angelo, ed. Levante, Bari 1985, p. 51). Si possono, infatti, osservare i servizi comuni come le cisterne, i luoghi di riunione, i recinti per gli animali, i torchi, i forni.

La “Scala Santa”, fino alla metà del secolo XX era uno dei più frequentati itinerari sacri verso la Grotta-Santuario di S. Michele. Conserva ancora le testimonianze materiali del passaggio di lunghe teorie di pellegrini. Numerose croci piccole e grandi, semplici ed elaborate, greche e latine, graffiate o scolpite indelebilmente sulle pareti rocciose, accompagnano il faticoso sentiero.

Lungo il cammino, non è raro imbattersi in tratti rupestri che ospitano isolate tombe contrassegnate dal santo Sigillo di Cristo. Uno di questi appare singolare per la grandezza e l’originalità dell’incisione: una croce greca affiancata da un’altra inscritta in un cerchio.

Monte Sant'Angelo. Particolari segni di croci su roccia lungo il cammino di "Scannamugliera".

Monte Santangelo. Particolari segni di croci su roccia lungo il cammino di "Scannamugliera".

Minte Sant'Angelo, chiesetta di Ognissanti. Il recinto e i due ingressi.

Antistante alla chiesa, sulla destra vi è uno spiazzo recintato da un imponente muro a secco con funzione di ovile, costruito a strapiombo della valle sottostante. Attualmente la chiesa si presenta con due ingressi. Quello frontale, l’originario, a causa di un crollo della parte di destra, è stato ricostruito con un muro a secco. L’interno viene usato come deposito di paglia e fieno, perciò v ersa in condizioni molto precarie. Esso si compone di un unico vano rettangolare di metri 9,30 x 4,70 interamante scavato nella roccia. Nel fondo, due scalini delimitano l’aula dalla sopraelevata abside, al centro della quale si notano i ruderi di un altare. Sugli stipiti e sulle pareti sono graffiate numerosi segni di croce; qualcuna è dipinta, dieci altre, invece, intenzionalmente scolpite e dipinte di color rosso, si susseguono ad una studiata distanza l’una dall’altra, metà nell’aula e metà nel presbiterio, segno evidente della sua consacrazione al culto.

– Esempi di croce  all’interno della chiesetta.

Sulla parete destra, sopra un incavo, si nota, sospeso alla volta, un capitello, traccia che lascia supporre come la chiesetta in origine non doveva essere priva di decorosi arredi architettonici.

Monte Sant'Angelo, chiesetta di "Ognissanti". Il capitello sospeso alla volta ricciosa.

Ciò, però, che ha e che desta meraviglia e interesse sono gli affreschi dipinti sulla parte intonacata della parete sinistra. Mi sembra opportuno far notare che la parete  rocciosa nuda che ospita gli affreschi è stata scolpita a mo’ di muro reticolato.  Tali testimonianze pittoriche sono ascrivibili al XIII secolo. Si tratta di due grandi riquadri, delineati da due cornici di color rosso, eseguiti da qualche pio devoto artista di passaggio o, com’è più probabile, da un’artista ignoto del luogo, il quale si è espresso secondo schemi ispirati ai modelli iconografici bizantini, ma che rientrano nell’ambito dell’arte pittorica pugliese del tardo Medioevo.

Il primo riquadro, metri 2,60 x 2,00, raffigura S. Michele con ampie ali, testa nimbata e capelli inanellati. Indossa la tunica rossa con loros imperiale, stringe nella mano destra una lancia crociata e nella mano sinistra regge l’orbis. A destra del nimbo si riesce (la ricognizione è del 1990) ancora a leggere la scritta esegetica a grandi lettere gotiche maiuscole S(anctus) MICHAEL, mentre tutta la parte inferiore è, purtroppo, quasi interamente illeggibile.

Monte Sant'Angelo, chiesettas di "Ognissanti", Intermo. Affresco raffigurante S. Mivhele.

Monte Sant'Angelo, chiesetta di "Ognissanti". Intermo, affresco raffigurante S. Mivhele.

Questo tipo iconografico di S. Michele è presente in tutta l’area pugliese, nelle chiese rupestri di S. Nicola e S. Margherita in quel di Mottola, a Massafra, a Palagianello, nella cripta di S. Maria a Poggiardo (Lecce), nella cripta di S. Giovanni a S. Vito dei Normanni, a Fasano nella cripta di S. Lorenzo, infine, a Monte sant’angelo nella chiesa di S. Maria Maggiore, con la differenza in quest’ultima, che l’Arcangelo indossa la clamide del soldato invece che l’abito di corte.

Il secondo riquadro, delimitato da una più grande cornice rossa rettangolare, propone (forse meglio dire proponeva!) un preciso programma iconografico tipico degli schemi bizantini: Madonna con Bambino a sinistra, al centro il Cristo Pantocratore e la Crocifissione a destra, vale a dire, la nascita, la morte e la gloriosa resurrezione del Cristo, l’imponderabile mistero salvifico della fede cristiana.

In ogni caso, solo il dipinto della Vergine col Bambino è possibile ancora (ma fino a quando?) ammirare anche se, come il precedente descritto affresco, è illeggibile nella sua parte inferiore e in condizioni molto critiche. La Madre di Dio è raffigurata secondo il modello dell’Odigitria (protettrice dei viandanti) e dell’Eleusa (Madonna della tenerezza). Indossa un velo e un manto azzurro – colore percepibile solo in tracce – e la veste rossa. La testa della Madonna è nimbata e lievemente inclinata verso il Figlio; il volto esprime un’estrema serenità e dolcezza che penetra lo spirito. Ha grandi occhi scuri con lo sguardo rivolto ai fedeli e ciglia arcuate. Ella sorregge sul braccio destro il Bambino, cinto di una veste del medesimo colore, col capo circondato da aureola leggermente rivolto verso la Madre ed è in atto di benedire secondo l’uso latino.

Monte Sant'Angelo, chiesetta di "Ognissanti". Intermo, affresco della Madonna col Bambino.

Della parte centrale dell’intero riquadro, purtroppo, resta ben poco. Si distinguono solo alcuni residui elementi del Pantocrator e le due lettere dipinte, J e S, del nome Jesus. Per quanto riguarda la Crocifissione, tranne il nimbo, il volto di Cristo, reclino sulla spalla destra, la traversa della croce e la parte superiore del palo con l’ingiuriosa scritta esegetica JESUS NAZARENUS / REX JUDEORUM quasi interamente scomparsa.

Lo stato di abbandono e di degrado di questi affreschi votivi è notevole e, per il generale disinteresse delle autorità competenti e dei montanari (ma potete estendere la considerazione a tutta la nazione) per questo grande patrimonio monumentale e storico, non si può fare a meno di presagire il peggio.

A prescindere dal degrado causato dal tempo e dall’ignoranza degli uomini, questi affreschi si presentano deturpati anche per le numerose iscrizioni votive eseguite a sgraffio. Tali iscrizioni, databili tutte tra il XIII e il XIV secolo, sono state eseguite a scopo devozionale dai pellegrini, i quali, sulla strada del grande pellegrinaggio medievale per Gerusalemme, all’andata o al ritorno, salivano sul monte Gargano per visitare, rendere omaggio e impetrare la protezione del Campione Celeste. In questa chiesetta rupestre, infatti  sostavano prima di dare l’ultimo balzo e raggiungere sulla vetta del monte la santa Grotta dell’Arcangelo. Queste iscrizioni, pertanto, assumono una valenza storico-documentaristica di notevole interesse.

Esse sono tutte graffite in lingua latina con lettere minuscole gotiche come scrittura di base, frequentemente con caratteri molto minuti tanto da rendere la lettura molto difficoltosa e spesso incerta. Uno studio completo ed esauriente di questi graffiti è stato fatto alcuni anni addietro dal prof C. Serricchio. Qui, tuttavia, si vuole proporre solo qualche correzione e integrazione nonché qualche osservazione complementare.

A destra della Madonna col Bambino, sulla cornice superiore rossa, si legge in maiuscole gotiche:

1 – HIC FVIT PP (= piissimus) IOH(ANN)ES D(ominus) MAG(IS)TER … (Serricchio legge: IOHANNESD(omini) MATER; a noi, tuttavia, la lettera G di “magister”, che egli legge A, appare chiara e inconfondibile).

2 – Sotto la cornice rossa a destra, sempre in maiuscole gotiche: (inizio da fuori cornice) HIC FVIT DCS (= dictus) … YNES (=Yohannes) … Le quattro lettere che precedono il nome non ci sembra che possano essere interpretate col nome DAVID proposto da Serricchio.

La posizione sull’affresco, la regolarità e linearità delle lettere potrebbero far pensare all’invocatio di probabili e particolari pellegrini committenti.

Sono una gran quantità le iscrizioni graffite. Qui vale la pena citare solo alcune in alto a destra del nimbo della Vergine, eseguite in lettere gotiche minuscole e con grafia minutissima.

3 – calenis dns (= dominus) (Serricchio legge: dictvs), segue una lettera maiuscola abrasa, forse una P o una B, e subito sotto su altra linea, de Imo (Imola).

4 – Più sotto: filivs q(vondam)… Chr(istophori) …

5 – Più sotto, su cinque linee: hic fvit iohannes de Broka … In nomine… et archiepiscopvs / cho… m clarissimvs Petrvs Ro (Roger?) / sextvs… pdr (= predicatur) die 7 decembre be / nedictvs… dominvs iubileo.

In questa iscrizione alcune parole sono abrase, perciò d’incerta lettura, dovuta anche ai caratteri minutissimi. Fa riflettere, come giustamente osserva Serricchio, quella data del 7 dicembre e la parola iubileo, che fa pensare subito al primo giubileo del 1300 o al secondo del 1350. Ma elemento di riflessione sono anche il nome Petrus preceduto dall’attributo clarissimus e seguito dalle lettere Ro, da svolgere probabilmente nel nome Roger, e dall’apposizione sextus. Ora Pietro Roger corrisponde al nome del papa Clemente VI, il quale indisse nel mese di dicembre del 1349 il secondo giubileo. Tale soluzione ci convince anche perché al primo rigo, là dove abbiamo posto i puntini di sospensione, leggiamo, sia pure col beneficio del dubbio, un nome che corrisponde a quello di Clemente. A parte tutto, ci sembra suggestivo questo riferimento al primo o al secondo giubileo sul cammino che conduce alla casa terrena del Principe degli Angeli, là dove Ubi saxa panduntur, ibi peccata hominum dimittuntur.

Segni e iacrizioni graffite sul dipinto della Madonna.

Anche sull’affresco che raffigura S. Michele i graffiti e i segni-simboli vergati sono numerosi. Ne riportiamo qualcuno di quelli più leggibili.

1 – A sinistra sulla cornice rossa, in lettere gotiche maiuscole, HIC FVIT VITOS V… ARC…

2 – Sotto, su due linee, in lettere maiuscole gotiche, HIC FVIT IOH(ANN)ES DE / … VOOBROSO.

3 – A destra, tra il nimbo e l’ala, su tre linee e in lettere gotiche minuscole, hic fvit frat(er) Federicvs / de Sunborch / de Riano (un comune del Lazio).

4 – Sotto la cornice destra in alto, aggrovigliato tra diversi graffiti, si legge su tre linee hic fvit f(rate)r be / nedictvs q (= cum) fi(li)o /  Baraino …

5 – Quasi al centro dell’affresco, in grandi minuscole gotiche, Reverendus (sulla lettera iniziale è sovrapposta una croce potenziata) hic fvit Iacobvs (?) charafuya. L’ultima parola fa subito pensare al nome della potente famiglia dei Carafa. Alcuni suoi esponenti furono uomini di chiesa, ma non siamo riusciti ad appurare nessuno di essi cui corrisponde il nome di Iacobus.

6 – Subito sotto, in caratteri gotici minutissimi hic fvit Petrvs c (= cum) filia.

7 – Più sotto, hic fvit Vuillelmvs de lu (= Lucca?)

8 – Più a destra sotto, in minutissime lettere gotiche e precedute da uno scudo araldico avente al centro il caprioletto forse accantonato, Sabinvs Iacobvs Pascales … de Mantva.

Come si è potuto notare, tutte queste iscrizioni si offrono a più considerazioni. Ne facciamo qualcuna, prescindendo dall’aspetto più squisitamente paleografico.

In ambedue gli affreschi ricorrono in modo più frequente i nomi propri di Giovanni, Guglielmo e Pietro, ma quasi la maggior parte degli altri sono quasi tutti di origine germanica. Non mancano, tuttavia, quelli di origine latina e orientale. La gran parte di essi è preceduta dall’espressione hic fuit e molto spesso seguiti da un appellativo: clericus, presbiter, subdiaconus, peccator, frater, ecc.. Qualcuno risulta compiere il viaggio in compagnia del figlio o della figlia. Interessante, infine, si presenta la varietà delle città di provenienza. Non sono molte, ma quelle che compaiono sono per la maggioranza del centro-nord d’Italia: Mantova, Lucca, Bologna, Padova, Riano, ecc., riflettendo così la dimensione nazionale del pellegrinaggio al Gargano.

Segni, e simboli sul dipinto di S. Mochele.

Segni, e simboli sul dipinto di S. Michele.

Tra i graffiti, inoltre, vi sono alcuni simboli e segni, come, sul S. Michele, la stella a cinque punte, pendente da una croce cosmica cornuta ed altri, che ritroviamo in altri complessi rupestri e non, lungo tutti gli itinerari che conducono a Monte sant’Angelo e simili a quelli rinvenuti nelle cripte del Santuario e sulle pareti della monumentale scalinata angioina. Inconsapevolezza di un gesto simbolico privo ormai di una qualsiasi specificità di significato, o continuità di segni e simboli tramandati dai padri e che racchiudono in sé tutta una simbologia della fede e della speranza attraverso un faticoso, forse a volte travagliato cammino spirituale che,ancora ai nostri giorni trova  la forza e la potenza di esprimersi? Una ricerca in tale direzione si presenta oltremodo suggestiva e stimolante.

E’ opportuno, infine, fare qualche accenno alla presenza di una serie di scudi araldici, graffiti in particolare sull’affresco del S. Michele. Essi definiscono in parte il ceto sociale dei loro esecutori, per lo più pellegrini e cavalieri di estrazione nobile. E ciò, in generale, può chiarire meglio il fatto che tutti gli esecutori dei graffiti – non escludiamo però l’ipotesi che essi abbiano potuto demandare ad altri – scrivono in latino e mostrano una buona conoscenza della scrittura.

Ancora un graffito di un certo interesse si trova a sinistra della parte inferiore dell’abside. Esso raffigura una barca con due alberi maestri e delle figure umane, cui non ci è possibile determinarne il numero. A parere del dott. F. P. Fischetti – di buona memoria, lo ricordiamo sempre con stima e simpatia – esso dovrebbe rappresentare l’Arca di Noè e le persone contenute in essa dovrebbero essere otto, quanti sono stati i salvati dal diluvio (cfr. F. P. FISCHETTI, Graffiti giudeo-cristiani sul Gargano, in “Garganostudi”, dicembre 1979).

Il graffito de "Arca di Noè".

Gli affreschi, le iscrizioni e i simboli, uniti ad alcuni altri elementi costitutivi del complesso rupestre, ci portano ad ipotizzare il suo periodo di frequentazione, con eccessiva cautela, ad un lasso di tempo che va dal IX al XIV secolo, con una punta massima durante le prime spedizioni crociate.

I pellegrini continuarono a salire a piedi il monte lungo questa via anche in epoche successive e, comunque, anche se in misura ridotta rispetto al passato, sicuramente fino agli anni Cinquanta dello scorso secolo (da fanciullo, ricordo, che più di una volta, accodato a ai ragazzi del vicinato, sono andato incontro alle “compagnie” di pellegrini, –i frustire -provenienti da questo versante. Perciò non condividiamo appieno l’opinione di Serricchio quando afferma: “… i pellegrini vi salirono… fino al 1805 quando fu realizzata dal Bonaparte l’attuale strada rotabile per Monte Sant’Angelo” (op. cit., p. 58). L’itinerario esaminato è una “via sacra”, consolidato nel tempo da usi, abitudini e riti intimamente connessi allo stesso percorso e ai complessi sacri che insistono su di esso. La chiesa rupestre di “Jazzo Ognissanti” costituiva, infatti, una statio penitenziale e, pertanto, obbligata per quei romei che sceglievano tale itinerario, prima di ascendere l’ultimo tratto del monte e presentarsi al cospetto dell’arcangelo Michele. Quanto è difficile far venire meno una tradizione motivata e radicata nello spirito del popolo è un fatto noto e verificabile sporadicamente ancora ai nostri giorni specialmente in quei pellegrini delle nostre regioni centromeridionali, i quali, provenienti ancora a piedi  da ambo i versanti della montagna, da sud e da nord, prima di dare l’ultimo balzo verso la Grotta angelica, compiono specifici riti e precise pratiche devozionali e penitenziali che continuano, poi, tanto scendendo la lunga scalinata che nel cuore dello speco, sia pure di nascosto – avendolo vietato – dei custodi del Santuario.

 

MONTE SANT’ANGELO – NECROPOLI DI “IUMETITE”

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NECROPOLI

MONTE SANT’ANGELO – necropoli “Iumetite”

In territorio di Monte Sant’Angelo, nella piana frazione di Macchia Libera, in località Iumetite, è ubicata l’omonima necropoli paleocristiana, determinata da due distinti complessi che, per chiarezza espositiva chiameremo “Complesso A” e “Complesso B”.

Complesso A

Il sepolcreto si sviluppa sulle pareti rocciose di un ampio spiazzo circolare. Sulla destra s’allineano, inquadrati in profondi solchi ogivali, ben cinque arcosoli biloculati di buona fattura, mentre sulla parete che fronteggia il varco d’accesso all’area cimiteriale sono scolpite croci di vario tipo. Due ingressi immettono a due distinte gallerie. Sul primo ingresso si apre un finestrone che introduce ad una piccola camera a baldacchino con cinque arcosoli, uno frontale e, rispettivamente, due a destra e sinistra. Pur conservando la struttura originaria, questo vano ha subito la demolizione dei loculi per rendere piana, più ampia e utilizzabile la sua superficie. Lo stipite di destra del finestrone, conserva alcuni graffiti, tra cui una croce latina del particolare significato simbolico: tre dei suoi bracci terminano a tridente mentre il vertice del palo con un rombo. Secondo il linguaggio dei paleocristiani, il rombo, formato da due triangoli uniti per la base, il cui vertice alto tende verso il cielo, è simbolo d’ascensione, il secondo vertice, opposto verso il basso, l’inferno.

La necropoli è formata da due profondi e imponenti ambienti. Essa ha sofferto numerosi interventi che hanno completamente alterato la sua primitiva struttura. Originariamente doveva svilupparsi in due lungi ipogei autonomi tra loro, ai quali, scendendo qualche scalino, si accedeva da separati ingressi, uno dei quali presenta sul frontone, ancora inedite, tre stelle a cinque punte.

Dopo essere stato utilizzato come tufara, stalla, deposito di attrezzi agricoli, fienile, il complesso appare molto compromesso e con il piano di calpestio sceso ad una notevole profondità. Tra di loro, inoltre, è stato praticato lo sfondamento del comune setto roccioso rendendoli intercomunicanti. Gli arcosoli con i loculi sono stati completamente distrutti, l’unica traccia sono i profili dei loro archi rilevabili lungo le pareti in alto.

Panoramica esterna del complesso “Iumetite”

Panoramica dell'esteno del "Complesso A".

Particolare delle croci graffite sulla parete rocciosa del "Complesso A".

Particolare degli arcosoli del lato destro dello spiazzo.

Particolare di un arcosolio.

Il primo ingresso visto dall'interno.

Interno del secondo ipogeo.

Particolare del graffito delle stelle a cinque punte

Un angolo della camera a baldacchino.

Particolare della croce graffita sullo stipite del finestrone.

Complesso B

Panoramica esterna del "Complesso B"

Situato ad un livello superiore del terrazzo roccioso, il “Complesso B” si presenta con caratteristiche strutturali ed architettoniche particolari, tanto da far pensare che la sua originaria funzione non sia stata quella di sepolcreto. Mancano, infatti, tracce di elementi di sepoltura, mentre al centro della parete che fronteggia l’ingresso è scolpita con la tecnica della puntinatura una croce latina cerchiata, a destra della quale vi è un incavo a guisa di abside. Ciò richiama più un luogo di riunione, se non proprio una chiesetta rupestre a servizio dell’area cimiteriale ipogeica circostante.

Sulla lunetta dell’ingresso è incisa la data del 1695. E’ da ritenere che essa si riferisca al periodo in cui vennero fatti ampliamenti e modifiche, destinando la cripta ad abitazione di campagna. La conferma è data dal fatto che ad essa è stata affiancata, verosimilmente alla fine del XVII o inizio XVIII secolo, una “torretta” in muratura con due ambienti, il primo, architettonicamente ben curato, con funzione di grande camino. Il suo interno presenta sull’intonaco delle pareti la peculiarità di alcuni graffiti raffiguranti soldati con fucile e figure femminili con abiti da “pacchiane”. Chiaramente queste figure prescindono nettamente da un contesto di natura religiosa e si prestano ad essere interpretate in chiave squisitamente antropologica. Non mancano, però, sia in questo ambiente che nel vano attiguo, veri e propri disegni elaborati a sgraffio, di altari o prospetti di chiese, tra cui uno sembra immediatamente ricordare l’altare del Santo Sepolcro di Gerusalemme.


Ingresso al "Complesso B".

Ingrsso al "Complesso B".

Croci graffite lungo la roccia comine di due complessi.

La data 1695 incisa sulla lunetta dell'ingresso al "Complesso B"

Interno del "Complesso B". Il camino.

Interno del camino. Graffiti.